La cappella dell’adorazione dell’oratorio San Luigi di Concorezzo è un piccolo locale situato al primo piano dell’edificio principale nel contesto oratoriano. Entrando nella cappella si resta colpiti dalle misure ridotte dell’ambiente, sia in altezza che in ampiezza. In effetti essa risulta l’aula più piccola dell’intero edificio. Sì può supporre, che in fase di costruzione dell’edificio principale, tale ambiente fosse già pensato proprio per il culto privato.

Nel 2002 l’allora parroco Don Enrico Vago propose al cugino Valentino di decorare personalmente il locale di culto, segno di profondo rispetto per l’opera del maestro milanese e compagno di giochi fin dalla prima infanzia a Barlassina, come ricordano entrambi. La cappella venne benedetta in presenza dell’artista e della cittadinanza nel 2002, in occasione del 50° di ordinazione sacerdotale di Don Enrico Vago.

L’ambiente si presenta totalmente dipinto. Ne restano esclusi gli infissi delle finestre, la porta interna (laccata di bianco) ma non la porta esterna, colorata dalla mano di Vago. Casuale o meno questo particolare trasporta – tanto il fedele quanto lo spettatore – dall’interno all’esterno senza varcare “fisicamente” la soglia. Vista dal corridoio l’entrata ha già in sè la magia antica del colore in grado di influenzare tramite l’effetto ottico anche l’effetto psichico della natura umana: ci attrae il senso dell’ignoto, dello spirituale, dell’immateriale. Dall’interno, al contrario, la laccatura classica sembra essere l’unico oggetto dotato di peso corporeo; riconosciamo una porta per quella che è: la via d’uscita, il passaggio per il “mondo terreno”, una tra le tante porte delle nostre case o dei nostri uffici.

 

Valentino Vago ha espanso fino al cielo il soffitto e creato dimensioni parallele alle pareti. La scelta e il dosaggio del colore eliminano la pesantezza del cemento lasciando all’aria il compito di delineare gli spazi. Assecondando il proprio linguaggio artistico, Vago aggiunge – alle pareti così come nelle tele – ombre e contorni amorfi di esseri oranti o di angeli. Capita di non riuscire a districarsi tra i filamenti del tessuto pittorico e non riconoscere ciò che per convenzione chiamiamo angelo.

Soffermandosi sulla parete al di là della colonna ci troviamo di fronte ad una delle due evocazioni angeliche presenti nella cappella. Le mani giunte e le ali sono distinguibili una volta che l’occhio intuisce la logica del disegno, e l’alone potrebbe essere scambiato per un’impressione di luce se ci si trova in una posizione di scorcio.

Spostandoci con lo sguardo sulla parete opposta (dove è collocato l’altare in pietra) incontriamo una maschera di colore che, per tonalità e contrasto, risulta maggiormente definita rispetto alle altre raffigurazioni presenti nella piccola cappella. É posizionata a metà tra soffitto e altare. Si tratta di un riferimento alla Trinità di Masaccio, in Santa Maria Novella a Firenze. Trarre ispirazione da immagini che fanno parte del nostro sapere collettivo è uno dei linguaggi della pittura di Vago.

Sulla parete che ospita la porta d’entrata ritroviamo un angelo, gemello dell’essere orante di cui si diceva poche righe sopra. Il contorno e il colore di riempimento è bianco, e per questa sua colorazione risulta maggiormente evidente rispetto al suo simile che si può perdere nella cromia dello sfondo.

Il soffitto sembra non gravare sotto il peso del secondo piano, il quale, dipinto come uno dei cieli del Tiepolo, produce profondità e spazialità tali da far perdere i punti di orientamento e di pesantezza. La tonalità del soffitto è chiara tendente all’azzurro ma traduce sia il giorno che la notte grazie alle maschere di stelle appuntite e snelle, sparse nella cromia evanescente. Una partizione di luce candida divide il soffitto in due zone di colore, per poi invadere la parete dove è colorata la croce, fino ad irradiarsi attorno all’altare di pietra posto come un sarcofago romano non sbalzato.

Esistono poi delle campiture geometriche sulla colonna, nella rientranza sinistra della finestra e al centro dell’altare. In tutti i casi citati si tratta di nastri colorati di circa due centimetri di spessore dipinti con colori pastello tra il rosa, il verde, e una candida gradazione di giallo. Possono essere scambiati per luce che filtra dalle finestre vista la semplicità del tratto e la regolarità della forma o semplicemente: “… i soliti elementi grafici (che) sferzano lo spazio animandolo” come cita Renato Barilli già nel 1983 in una presentazione per il catalogo della Galleria Annunciata. Essi sono gli unici “abitanti del luogo” a rispettare un equilibrio geometrico: visti da vicino si nota l’impiego di una maschera per ottenere una certa linearità e precisione, sia nel colore che nel tratto a pennello e tempera.

Sulla colonna come all’interno della finestra i tratti sono simili a nastri applicati, essi seguono il perimetro dell’architettura su cui sono dipinti, così che la semicolonna è decorata su due lati consecutivi e lo stesso accade per la rientranza della finestra. Un discorso simile vale per la fascia di colore posta sull’altare: formata da campiture in blocchi di colore, essa scorre ininterrotta dalla parete al pavimento e dona corporeità alla struttura. In questo caso la scelta cromatica varia rispetto ai segni già descritti della semicolonna e della finestra, la scelta è quella di utilizzare diverse tonalità di azzurro sempre più chiaro, un rosa tenue già usato per la porta e nelle altre decorazioni su parete e un verde morto che segna lo spigolo dal passaggio del piano orizzontale al quello verticale.

L’angolo destro dell’altare è dipinto fino a formare un triangolo di colore azzurro, altro elemento segnico, dipinto per focalizzazione l’attenzione su un particolare poco rilevante, che non riveste un significato particolare ma che serve da “ancora percettiva”.

L’ultima figura dipinta utilizzando le maschere di cartone poggiate alla parete è posta sulla sinistra del crocefisso centrale. Si riconosce in essa una figura femminile, dalla lunga veste e il capo velato, inginocchiata e a mani congiunte in atteggiamento di preghiera. Tale apparizione racchiude in sé il sentimento di adorazione a cui la cappella è dedicata, facendo risaltare dall’aspetto iconografico l’aspetto di contemplazione mistica.

L’intervento di pittura murale di Valentino Vago, nella cappella dell’Adorazione come in tutti gli edifici-chiese in cui è stato chiamato a esprimere la sua arte, si traduce in parole come fece Padre Andrea dell’Asta, in un saggio di presentazione al libro della Salandin: “… La posta in gioco dell’intervento pittorico di Vago consiste in primo luogo nel creare un clima spirituale di raccoglimento, di meditazione, di preghiera, un’atmosfera ottenuta attraverso un sapiente uso cromatico dalle infinite tonalità di gialli, di bianche, di azzurri, in grado di suscitare suggestioni visive, evocazioni poetiche, sensazioni profonde. Un luogo dello Spirito. Uno spazio mistico”. La modificazione di spazi molto piccoli (qual è la Cappella dell’Adorazione) in ambienti che paiono di dimensione illimitate, è una delle caratteristiche dell’arte muraria di Vago: la luce naturale diviene la luce spirituale delle pareti affrescate; i cambiamenti tonali e le larghe campiture di colore dello sfondo esprimono, insieme con le maschere di colore di angeli e figure bidimensionali, spazi fisici privi di riferimenti razionali, entro cui, sia lo sfondo che le immagini perdono gradualmente peso e volume fino a smaterializzarsi completamente e a perdere i contatti con il mondo delle cose terrene.

La cappella è stata realizzata in due giorni, utilizzando colori acrilici misti a tempere alla caseina, stesi a spruzzo tramite aerografo e tamponi di garza e pennello. Si sono usati dei cartoni ritagliati per le citazioni.

 

I testi sono tratti dalla tesi di laurea della Dott.ssa Laura Mariani.

Qui è possibile consultare la tesi.